Pikkio
2007-03-16 19:17:34 UTC
Prima il link:
Poi la recensione, che quoto praticamente in ogni sua singola parte, col
distinguo che a me, i Manowar, non sono proprio mai piaciuti:
http://www.eutk.net/rece.asp?id=5398
Luca Signorelli, storico direttore di Metal Hammer Italia, nonché critico
musicale tra i più seri e competenti allora in circolazione, ebbe a scrivere
nel suo indispensabile (e temo introvabile!) libro "L'estetica del
metallaro", che i Manowar "stanno al mondo del metal quanto l'opera omnia
di Schwarzenegger sta al cinema". All'epoca avevo trovato un po' eccessiva
quella definizione, ma oggi, dopo essere miracolosamente sopravvissuto all'ascolto
integrale di "Gods of war" (ho trovato la mia medicina contro l'insonnia!)
non posso che trovarmi ad aggiornarla scrivendo che i Manowar stanno all'heavy
metal quanto film come "The day after tomorrow" o "La guerra dei mondi"
stanno al cinema: effetti speciali di grido, scene catastrofiche e roboanti,
a coprire una povertà di sostanza pressoché totale.
Già, perché se ogni musicista in erba avesse in banca la quantità di denaro
posseduta da Joey De Maio e soci, probabilmente anche i loro prodotti
suonerebbero come la decima fatica dei Manowar. E probabilmente sarebbero
anche meglio. Il problema, che ci crediate o no, sta tutto qui: che i
quattro americani paladini del "true metal" non hanno capito che non basta
un'orchestra di migliaia di elementi e una produzione bombastica per
trasformare una cagata in capolavoro. Come dire, se metti al mio cane la
maglia di Kakà non è che questo si mette a giocare a calcio (per questa
immagine orrenda siete autorizzati a spararmi!).
C'è stato un tempo, ben prima che io arrivassi all'età della ragione, in cui
i dischi dei Manowar erano grezzi e maledettamente imprecisi, avevano un
suono che peggiore non si poteva, eppure ti facevano piangere ogni volta
come un bambino. "Secrets of steel", "Gates of Valhalla", "Army of the
immortals", "Battle hymn", "Guyana", "Bridge of death" (e potrei continuare
fino allo sfinimento) non avevano l'orchestra, non si avvalevano di cento
sovraincisioni, non avevano questi suoni così potenti e maestosi, eppure,
chissà perchè, erano dei capolavori. Forse perché la magia trasudava
direttamente dalla chitarra di Ross the Boss, dal basso di Joey De Maio,
dalle parti vocali da brividi di Eric Adams: la magia era dentro i pezzi,
non fuori. Quello sì che era epic, quello sì che era true.
Che cosa sono diventati ora i Manowar, da almeno dieci anni a questa parte?
Un gruppo in palese calo di ispirazione, privo di idee, che cerca di coprire
questa imbarazzante situazione producendo dvd curatissimi, ricchissimi di
materiale ma assolutamente inutili (mi piacerebbe sapere quanti di voi hanno
a casa tutti i capitoli di "Hell on earth". io francamente ho comprato solo
il secondo!), salvo poi pubblicare un disco nuovo ogni sei anni o giù di lì.
Disco che, tra cover e interludi strumentali, non contiene mai più di cinque
o sei pezzi veri e propri. E come sono questi pezzi? Canzonette senz'anima,
nulla di più! Andiamo, vorrete mica paragonare cose come "Sleipnir", "Loki
god of fire" o "Odin" ad uno qualsiasi dei titoli citati qui sopra? Sono
gradevoli, va bene, ci sono delle strofe potenti e dei ritornelli
orecchiabili, ma quante band sono capaci di farlo? E sorvolo volutamente
sugli episodi già contenuti nell'ep "Sons of Odin": ma secondo voi un gruppo
che proclama "death to false metal" poi scrive "king of kings"? Francamente
io mi sento preso per il culo! Se l'avessero scritta i Majesty o gli Wizard
quanto li avremmo insultati? Però se la fanno i Manowar va tutto bene? Ma
per favore!
Francamente non mi va giù che un gruppo che ha fatto la storia di questa
musica, che ha scritto dei capolavori di proporzioni inenarrabili, se la
possa cavare registrando 74 minuti di musica, dei quali più della metà sono
occupati da composizioni orchestrali lunghe, ampollose, prolisse (ci sono
due intro! Due, vi rendete conto?), e dai soliti e banali sproloqui su
quanto sono potenti gli dei nordici (ogni tema, per quanto abusato, è
affascinante se uno lo affronta in un certo modo, ma è evidente che non è il
loro caso) e su quanto sono "true" coloro che combattono e muoiono in
battaglia nel nome di Odino e del metal ("The warrior's prayer" è vecchia di
vent'anni e basta da sola, parola mia!).
Ovviamente ci sarà gente che ancora una volta griderà al capolavoro, che si
inchinerà ai veri dei e saccheggerà gli scaffali dei negozi. Ognuno ha le
sue passioni, e chi può capirlo meglio di me, che ho sbavato dietro all'ultimo,
ultrastroncato disco dei Maiden? Perciò, non me ne vogliano i fan della
band, ma permettetemi di rimanere fedele al mio giudizio: i veri Manowar
sono finiti con "Sign of the hammer", e dopo lo scempio di "Fighting the
world" (che però diventa quasi accettabile se paragonato a questo!) non
hanno fatto altro che riproporre all'infinito la formula di "Kings of metal":
d'accordo, quello era un bel disco, ma alla quarta volta che lo risuoni
uguale.
Cari Joey, Eric, Scott e Carl: smettiamola di chiamare genialità la vostra
assoluta incapacità di riempire un cd con canzoni vere. Non parlatemi più di
quanto siete bravi, buoni e belli, e di quanto amate i vostri fan. Dopo
averli fatto aspettare cinque anni e averli fatto trovare tra le mani un
prodotto del genere, l'unica cosa che potete fare per loro è un bel concerto
d'addio.
voto 4/10
P.S. il nuovo Threshold su EUTK ha preso 8,5
Poi la recensione, che quoto praticamente in ogni sua singola parte, col
distinguo che a me, i Manowar, non sono proprio mai piaciuti:
http://www.eutk.net/rece.asp?id=5398
Luca Signorelli, storico direttore di Metal Hammer Italia, nonché critico
musicale tra i più seri e competenti allora in circolazione, ebbe a scrivere
nel suo indispensabile (e temo introvabile!) libro "L'estetica del
metallaro", che i Manowar "stanno al mondo del metal quanto l'opera omnia
di Schwarzenegger sta al cinema". All'epoca avevo trovato un po' eccessiva
quella definizione, ma oggi, dopo essere miracolosamente sopravvissuto all'ascolto
integrale di "Gods of war" (ho trovato la mia medicina contro l'insonnia!)
non posso che trovarmi ad aggiornarla scrivendo che i Manowar stanno all'heavy
metal quanto film come "The day after tomorrow" o "La guerra dei mondi"
stanno al cinema: effetti speciali di grido, scene catastrofiche e roboanti,
a coprire una povertà di sostanza pressoché totale.
Già, perché se ogni musicista in erba avesse in banca la quantità di denaro
posseduta da Joey De Maio e soci, probabilmente anche i loro prodotti
suonerebbero come la decima fatica dei Manowar. E probabilmente sarebbero
anche meglio. Il problema, che ci crediate o no, sta tutto qui: che i
quattro americani paladini del "true metal" non hanno capito che non basta
un'orchestra di migliaia di elementi e una produzione bombastica per
trasformare una cagata in capolavoro. Come dire, se metti al mio cane la
maglia di Kakà non è che questo si mette a giocare a calcio (per questa
immagine orrenda siete autorizzati a spararmi!).
C'è stato un tempo, ben prima che io arrivassi all'età della ragione, in cui
i dischi dei Manowar erano grezzi e maledettamente imprecisi, avevano un
suono che peggiore non si poteva, eppure ti facevano piangere ogni volta
come un bambino. "Secrets of steel", "Gates of Valhalla", "Army of the
immortals", "Battle hymn", "Guyana", "Bridge of death" (e potrei continuare
fino allo sfinimento) non avevano l'orchestra, non si avvalevano di cento
sovraincisioni, non avevano questi suoni così potenti e maestosi, eppure,
chissà perchè, erano dei capolavori. Forse perché la magia trasudava
direttamente dalla chitarra di Ross the Boss, dal basso di Joey De Maio,
dalle parti vocali da brividi di Eric Adams: la magia era dentro i pezzi,
non fuori. Quello sì che era epic, quello sì che era true.
Che cosa sono diventati ora i Manowar, da almeno dieci anni a questa parte?
Un gruppo in palese calo di ispirazione, privo di idee, che cerca di coprire
questa imbarazzante situazione producendo dvd curatissimi, ricchissimi di
materiale ma assolutamente inutili (mi piacerebbe sapere quanti di voi hanno
a casa tutti i capitoli di "Hell on earth". io francamente ho comprato solo
il secondo!), salvo poi pubblicare un disco nuovo ogni sei anni o giù di lì.
Disco che, tra cover e interludi strumentali, non contiene mai più di cinque
o sei pezzi veri e propri. E come sono questi pezzi? Canzonette senz'anima,
nulla di più! Andiamo, vorrete mica paragonare cose come "Sleipnir", "Loki
god of fire" o "Odin" ad uno qualsiasi dei titoli citati qui sopra? Sono
gradevoli, va bene, ci sono delle strofe potenti e dei ritornelli
orecchiabili, ma quante band sono capaci di farlo? E sorvolo volutamente
sugli episodi già contenuti nell'ep "Sons of Odin": ma secondo voi un gruppo
che proclama "death to false metal" poi scrive "king of kings"? Francamente
io mi sento preso per il culo! Se l'avessero scritta i Majesty o gli Wizard
quanto li avremmo insultati? Però se la fanno i Manowar va tutto bene? Ma
per favore!
Francamente non mi va giù che un gruppo che ha fatto la storia di questa
musica, che ha scritto dei capolavori di proporzioni inenarrabili, se la
possa cavare registrando 74 minuti di musica, dei quali più della metà sono
occupati da composizioni orchestrali lunghe, ampollose, prolisse (ci sono
due intro! Due, vi rendete conto?), e dai soliti e banali sproloqui su
quanto sono potenti gli dei nordici (ogni tema, per quanto abusato, è
affascinante se uno lo affronta in un certo modo, ma è evidente che non è il
loro caso) e su quanto sono "true" coloro che combattono e muoiono in
battaglia nel nome di Odino e del metal ("The warrior's prayer" è vecchia di
vent'anni e basta da sola, parola mia!).
Ovviamente ci sarà gente che ancora una volta griderà al capolavoro, che si
inchinerà ai veri dei e saccheggerà gli scaffali dei negozi. Ognuno ha le
sue passioni, e chi può capirlo meglio di me, che ho sbavato dietro all'ultimo,
ultrastroncato disco dei Maiden? Perciò, non me ne vogliano i fan della
band, ma permettetemi di rimanere fedele al mio giudizio: i veri Manowar
sono finiti con "Sign of the hammer", e dopo lo scempio di "Fighting the
world" (che però diventa quasi accettabile se paragonato a questo!) non
hanno fatto altro che riproporre all'infinito la formula di "Kings of metal":
d'accordo, quello era un bel disco, ma alla quarta volta che lo risuoni
uguale.
Cari Joey, Eric, Scott e Carl: smettiamola di chiamare genialità la vostra
assoluta incapacità di riempire un cd con canzoni vere. Non parlatemi più di
quanto siete bravi, buoni e belli, e di quanto amate i vostri fan. Dopo
averli fatto aspettare cinque anni e averli fatto trovare tra le mani un
prodotto del genere, l'unica cosa che potete fare per loro è un bel concerto
d'addio.
voto 4/10
P.S. il nuovo Threshold su EUTK ha preso 8,5
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